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Disabilità e inclusione






                                                                               di Laura BARBIRATO
                                                                                    Dirigente scolastica














                                      Insegnare a giocarensegnare a giocare
                                      I








          l gioco, e in particolare il gioco spontaneo, è in genere   priati favorendo nel contempo la relazione con i compagni.
        Il’attività più naturale per un bambino. Attraverso il gioco
        egli scopre, impara, socializza e si diverte, in quanto     SUGGERIMENTI OPERATIVI
        l’attività ludica è di per sé gratificante. I bambini con im-  Possiamo cominciare con un’attività tra le più semplici: il
        portante ritardo nello sviluppo cognitivo o con disturbo   gioco dei cubi. A tal fine è necessario disporre di due set
        relazionale come l’autismo, però, spesso non sono capaci   di cubi uguali, uno per l’insegnante e uno per il bambino,
        di giocare spontaneamente, oppure si dedicano ad attività   in modo che l’imitazione possa essere più facilmente
        ripetitive molto semplici (come agitare, sbattere o lanciare   realizzata. L’imitazione rappresenta infatti la forma di me-
        oggetti, oscillare le braccia e il corpo, assumere posture o   diazione più efficace per far svolgere attività complesse,
        andature bizzarre…) che non si prestano alla condivisione   in quanto mobilita anche le componenti motivazionali e
        sociale. Questi atteggiamenti e comportamenti possono   affettive che legano adulto e bambino.
        esporli alla stigmatizzazione e provocarne l’isolamento.   Si comincia con un solo cubo, seduti a un tavolo, uno di
        Per questo è molto importante che ogni bambino sappia   fronte all’altro oppure per terra; noi insegnanti toccheremo
        e possa giocare, e se, osservando i suoi comportamenti,   il cubo, lo alzeremo e lo rimetteremo giù… e solleciteremo
        ci rendiamo conto che non è in grado di farlo spontanea-  il bambino a fare altrettanto con il suo cubo, gratificandolo
        mente, è necessario che proviamo a insegnarglielo.     quando riesce a svolgere queste azioni. Progressivamente
        Prima di cominciare dobbiamo considerare il fatto che,   si possono introdurre più cubi, con estrema gradualità e
        come tutti i bambini, anche quelli con ritardo cognitivo o   verificando le risposte del bambino. Con due cubi si pos-
        disturbo autistico possono avere preferenze o avversioni per   sono già fare molte composizioni, compresa la sovrappo-
        alcune attività: non sapremo mai quali sono i giochi prefe-  sizione, che sarà il primo passo per costruire la “torre” e
        riti fino a che non proviamo a proporli. Se il bambino do-  poi il “ponte” e la “casa”. Se il bambino fatica a imitare
        vesse rimanere completamente indifferente rispetto a una   le azioni proposte, possiamo inizialmente aiutarlo fisica-
        determinata proposta, anche dopo aver lavorato con lui per   mente guidando le sue mani e attenuando pian piano l’a-
        un po’, vuol dire che è inutile insistere; si potrà riprovare   iuto. Quando il bambino comincia a capire e a diventare
        in un altro momento. Lo scopo del nostro intervento è che   abile, possiamo invitarlo direttamente a realizzare il “pro-
        progressivamente il gioco diventi per lui interessante e gra-  dotto finale” chiedendogli di riprodurre una costruzione,
        tificante e possa così sostituire i comportamenti di “auto-  anziché ripetere ogni azione passo dopo passo.
        stimolazione” (ad esempio dondolarsi, girare su sé stessi,   Se il bambino appare interessato e capace, si può lasciare
        aprire ritmicamente le braccia, tamburellare, roteare gli   il ruolo di “modello” a un compagno, che propone le at-
        occhi), stereotipati, ritualistici o magari ritenuti inappro-  tività e lo sollecita a collaborare con lui. In questo modo


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